La fotografia e la danza: due segmenti del fare artistico sono tenuti insieme da Luca Giabardo con una serie di scatti che fermano il tempo della rappresentazione per il quale il danzatore esegue movimenti in una articolazione di tipologie sventagliate e ampie con tutta la gamma di possibili diversità. La danza è una delle attività umane universali: essa appare in ogni cultura del mondo. In tutte le sue articolazioni il movimento è l’aspetto più importante di questa manifestazione artistica. La magia, insieme ad una sorta di tempo sospeso, che gli scatti di Luca Giabardo ci regalano, trasformano i corpi in movimento in immagini di inusitata bellezza, di poetica serialità.
Quando Carolyn Carlson lascia a Venezia tre coreografie di gruppo, Undici Onde (1981), Underwood (1982) e L’Orso e la Luna (1983) – fissa immagini di onde danzanti con un senso del ritmo leggibile anche a distanza di tempo. Il lavoro di Luca Giabardo si muove sulla stessa lunghezza d’onda della Carlson, facendoci riscoprire l’arte del corpo e spiegandoci come debba proprio essere un artista, un fotografo, a mettere in campo ciò che gli è affine per creatività artistica, culturale e linguistica. Ma di quale arte si parla? Di quel fotografare soddisfatto della pienezza dei propri risultati, o di quel fotografare scosso da tensioni sempre più intime inserite nel contesto in continua mutazione dell’arte odierna? Le immagini di Luca Giabardo si impongono perché ci spingono a dialogare con i corpi, con la musica, o quant’altro faccia parte della rappresentazione senza mascherare nulla, anzi esponendoci ad una percezione magica quanto implacabile.
Siamo indotti ad assaporare i movimenti che precedono lo scatto o che seguiranno ad esso. L’immagine delle Stanze di Elisabetta Rosso del 2004, e ancora la bellissima magia che si coglie in Viaggio in una tazzina di caffè, gli occhi degli alberi e la coda della volpe rossa, di Aida Vainieri del 2006, ci mettono di fronte ad una storia di intrecci tra l’arte del fotografo e l’arte di saper muovere un corpo. Le altre immagini formano una costellazione di gesti, immaginabili e nello stesso tempo sentiti, che Giabardo ci trasmette insieme agli interrogativi della sua ricerca che ci fa pensare a verifiche ulteriori. Perciò questo lavoro non ha nulla a che fare con la sociologia dell’arte, perché qui il fotografare è chiamato a costruire i propri intrecci, a partire dalla danza, dal suo interagire con le altre arti e con le loro mentalità. Il settore Danza, Musica e Teatro della Biennale di Venezia sembra essere richiamato a guardare alle fotografie da questi scatti di Giabardo che colgono con grande sicurezza l’interagire dei tre settori e lanciano inviti a ricerche e verifiche ulteriori in grado di raccontare per immagini.